(Versione stampabile)  

News - 29/08/2014

1864-2014/ 150 anni di industria, industriali e società nel Biellese

1960
Esce "Dai acqua!", di Massimino Scanzio Bais. L'autore, pubblicista e scrittore candelese, con la sua opera intendeva ripercorrere la "storia dei pionieri dell'industria laniera nel Biellese" a partire dal titolo del volume che riprendeva l'antico ordine impartito per dare moto alle macchine. "Dare acqua" significava far sì che l'energia cinetica dei torrenti, captata dalle opere di presa e governata nei canali, mettesse in movimento le ruote idrauliche collegate agli alberi di trasmissione degli opifici. Ma quel modo di dire, quando ormai era l'elettricità a far funzionare le fabbriche, era diventato un'espressione quasi di devota ammirazione per i tempi e gli uomini andati, quei "pionieri" della "epoca eroica" cui lo Scanzio Bais fece riferimento nel suo libro. Le pagine di "Dai acqua!", pur avendo più di un debito verso le precedenti pubblicazioni di Alessandro Roccavilla, Vincenzo Ormezzano, Pietro Torrione e Mario Sodano, e pur non avendo pretese storiografiche, concretizzarono forse più di altre la "agiografia" del Biellese industriale e contribuirono in modo decisivo alla mitopoiesi dell'imprenditoria tessile locale, quella che Valerio Castronovo battezzò "aristocrazia laniera". In assenza di un "ambiente" accademico e culturale in grado di proporre un approccio analitico e sistematico alla storia industriale del Biellese, quel racconto affascinante e godibile di un'epopea lunga sedici secoli (il capitolo "I primi albori" inizia con la cattura di Fra Dolcino avvenuta nel 1307...!) raggiungeva comunque un buon risultato in chiave divulgativa. Soprattutto si trattava di un tentativo di salvataggio di un patrimonio di esperienze e di memorie che, già allora, si percepiva in progressivo depauperando.


1961
Sull’onda di uno stato di agitazione di categoria esteso a livello nazionale, la sezione locale della FIOT Federazione Italiana Operai Tessili (organizzazione sindacale della CGIL) proclama, per il 22 giugno, uno sciopero di ventiquattro ore in 14 aziende biellesi (a Biella gli stabilimenti Pria, Bertrand e Pagani, la Filatura Rivetti di Vigliano, la Filatura e Tessitura di Tollegno, il lanifici Gallo e Fila a Cossato, nella vallata dello Strona i lanifici Albino Botto, Giuseppe Botto, a Trivero le fabbriche Ermenegildo e Mario Zegna, la Fila di Coggiola e a Pianceri la Trabaldo Togna). Alle ditte scelte per l’astensione dal lavoro se ne aggiunsero spontaneamente altre 11: 10.000 lavoratori incrociano le braccia. Iniziava la “estate calda dei lanieri biellesi”. Le agitazioni proseguirono per diverse settimane e si arrivò a un accordo solo il 28 agosto. Visto dalla parte più radicale degli organizzatori di quelle clamorose iniziative, il risultato delle trattative fu ritenuto una mediazione non troppo soddisfacente, ma la maggior parte degli operai scioperanti lo considerarono un successo. Con le loro rivendicazioni ottennero, infatti, "a) la concessione di un premio per tutti i lavoratori di 25 mila lire (in termini percentuali un aumento del salario mensile del 10-12%); b) l'anticipo della scadenza del contratto nazionale e la revisione, successiva al contratto, del cottimo di tessitura. All'interno del nuovo contratto gli industriali si impegnarono a sostenere una riduzione dell'orario di lavoro e delle differenze tra il salario dei giovani e degli adulti, e a collegare il salario all'andamento produttivo dell'azienda". Non fu accolta, invece, la proposta di riconoscimento di "una presenza organizzata del sindacato nell'azienda".

 

1962
La Corte di Appello di Torino tenta di porre termine a un processo penale iniziato quasi venti anni prima in relazione all'incendio del Lanificio Fratelli Faudella di Pavignano (Biella) verificatosi nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 1943. Dal dispositivo della sentenza, letta l'8 ottobre 1962, si possono conoscere gli eventi e i protagonisti di una vicenda che ebbe la guerra e l'attività produttiva biellese nel contesto bellico come sfondo, ma che si trascinò nell'incertezza tra cavillosità burocratica, disonestà manifesta, lentezza giudiziaria, ingerenza politica ecc. I fatti: avvenuto l'incendio, le varie compagnie di assicurazione con le quali fin dal 1940 l'azienda tessile aveva sottoscritto una polizza contro gli incendi determinarono di non risarcire la ditta sinistrata perché, stabilita la dolosità dell'evento, si valsero delle clausole che escludevano dalla copertura assicurativa "i danni derivanti da atti di guerra, tumulto popolare, occupazione militare o invasione". I periti di parte stabilirono che il fuoco era stato appiccato durante un'operazione di sabotaggio messa in atto da un gruppo di partigiani (azione peraltro accertata in seguito, anche in forza di una dichiarazione di Francesco Moranino "Gemisto", ma che risultò non così lineare nell'esecuzione), stante che era notorio che il Lanificio Faudella stesse (come tanti altri) collaborando col nemico, ossia lavorando su commessa degli occupanti nazisti o per i repubblichini. Per dirimere d'imperio la questione intervenne nel 1944 il capitano Tamke del "Rustung Kommando" di Milano che impose alle compagnie assicuratrici di pagare una somma pari a 20 milioni di Lire. Non potendo opporsi, queste ultime sborsarono quelli e altri soldi, ma alla fine del conflitto avviarono la causa per il danno subito a loro volta. Dopo tante udienze e una mezza dozzina di sentenze intermedie, molti punti oscuri, questioni terminologiche e interpretazioni storiche opinabili restavano ancora da chiarire e da discutere.

 

Sito di provenienza: Unione Industriale Biellese - https://www.ui.biella.it