News - 19/06/2014
1933
"Ci siamo già sganciati dal concetto troppo limitato di filantropia per arrivare al concetto più vasto di e più profondo di assistenza. Dobbiamo fare ancora un passo innanzi: dall'assistenza dobbiamo arrivare all'attuazione piena della solidarietà nazionale". Queste parole di Benito Mussolini aprono il volume "L'Italia nelle sue opere assistenziali" pubblicato nel giugno del 1933 dalla S.N.E.P. Società Nazionale Editrice Propaganda Anonima di Milano. Gran parte di quelle circa mille pagine, frutto della volontà celebrativa dell'italico ideale di "sociale" durante il regime fascista, furono dedicare alle realtà di assistenza attivate dalle industrie italiane e il Biellese fu degnamente rappresentato. I nomi più noti e quelli di aziende molto piccole e, ormai, dimenticate finirono in quel libro anche quando non agivano direttamente in ambito assistenziale con organizzazioni o strutture proprie. In effetti era il "Ente Biellese Assistenza Operai" costituito in seno alla (futura) Unione Industriale Biellese a svolgere gran parte dell'attività. Sostenevano quell'ente, tra gli altri, la Filatura Ettore Barberis di Candelo e il Cappellificio Barbisio, Milanaccio & C. di Sagliano Micca, la Filatura Remo Strona di Biella e la ditta Alberto Delleani & Figlio, pure di Biella, specializzata nella "preparazione" delle fibre tessili, il Lanificio Piana Quinto & Figli di Ponzone, il Lanificio Silvio Ubertino di Lessona e la Vineis Ignazio e Luigi di Mongrando, produttrice di falci. Il 15 ottobre del '33 il Lanificio Fratelli Zegna di Angelo, che all'epoca contava 850 dipendenti, inaugurò a Trivero le sue "Opere Assistenziali", un complesso destinato a crescere negli anni immediatamente successivi e nel secondo Dopoguerra per assumere la denominazione di "Centro Assistenziale Zegna".
1934
La seconda edizione dello "Annuario generale della Laniera", pubblicato il 31 marzo 1934 dalla Associazione Fascista dell'Industria Laniera Italiana, dedica un ampio capitolo alle "Macchine Tessili ed Accessori", ossia ai loro produttori e rappresentanti. Come già in riferimento alla prima uscita dell'annuario nel 1926, questa pubblicazione consentiva agli imprenditori italiani e stranieri di orientarsi anche nel grande settore della meccanica tessile italiana e permette, a ottant'anni di distanza, di rilevare lo sviluppo di un comparto strategico per il Biellese già negli anni Trenta, dopo un secolo dalle sue prime esperienze ottocentesche. Il primo nome della lista era proprio un biellese: "Acquadro Fratelli [Officine Costruzioni Meccaniche]" di Pavignano. Seguono poi ragioni sociali del tutto dimenticate o tuttora in attività: Barberis Luigi di Portula con stabilimento sul rio Scoldo ("corde, cordette e nastri per filatoi"), Berra Riccardo di Ponderano, Boletti Giuseppe di Biella (rappresentante di fusi e quant'altro per filatoi), Bosco Oreste di Biella (rappresentanza di accessori per carde), Bozzo & C. di Ponzone (svariati "pezzi di ricambio per industrie" prodotti in proprio), Buratti Silvio di Biella (agente di commercio per la Prince Smith & Son di Keighley di Bradford, per filatoi a sistema inglese), Calcia Giovanni di Biella (tubetti per filatura)... Cerrone Ettore ancora di Ponzone ("orditoi a sezione brevettati", i famosi CEP), le due ditte Chiorino, Lorenzo e Umberto, con le loro cinghie e i loro tacchetti di cuoio, "Gamba D. V. Padre e Figlio" di Chiavazza (vasche per tintoria, folloni e lavaggi), "Giachino G. G." di Coggiola ("apparecchi per tingere lana in fiocco", a quanto pare dal 1840!)... Pidello Romano & C. di Sordevolo ("ingranaggi")... Ed era un biellese anche l'ultimo della serie: "Zonco Federico e Figli" di Flecchia che produceva "lavapanni, folloni, vasche per tingere, doghe per guernizioni di sfilacciatrici con punte di acciaio".
1935
La sera del 7 febbraio 1935, al Circolo Sociale di Biella c’è Filippo Tommaso Marinetti, il padre del Futurismo. Era la seconda volta che l'artista visitava il Biellese (c'era già stato quattro anni prima). “La neve che cadeva… passatisticamente a larghe falde ha diradato alquanto il pubblico, ma non per questo la serata è stata meno interessante”, fu scritto su “il Biellese”, che commentò il look e il piglio dell’artista in questi termini: “la feluca e lo spadino di accademico non hanno influito per nulla sul capo del futurismo che ha conservato tutta la vivacità di parola e di pensiero che gli è sempre stata propria”. Fu invitato a condividere le sue originali idee proprio sull'arte futurista, ma la scelta del tema o gli altri oratori sul palco (l'artista Franco Costa, l'arch. Nicola Mosso e lo scrittore e giornalista Luigi Pralavorio) non suscitarono il gradimento del pubblico, soprattutto di alcuni locali artisti contestatori che sostennero, come il pittore Celso Tempia, che chiunque era in grado di dipingere in stile futurista. Per confortare tale tesi un quadro "futurista" dello stesso Tempia fu provocatoriamente mostrato al Marinetti, al che l'ospite scarabocchiò direttamente sulla tela il suo nome affermando: "Adesso è futurista!". La conferenza, descritta eufemisticamente come un "serrato contradditorio", ebbe luogo solo grazie all'intervento della forza pubblica.